
Il Manifesto del Partito Comunista: il ruolo storico della borghesia
Il Manifesto del Partito Comunista: il ruolo storico della borghesia (Capitolo 2) Articolo scritto da Antonia Gentile universitaria di Savelli 25/06/2022 Il Manifesto del Partito
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Il grande santuario extra-urbano dedicato a Hera Lacinia è di certo, tra le aree sacre del mondo ellenico di epoca arcaica, il più importante della Magna Grecia. (LA STORIA)
L’area archeologica di Capo Colonna è un sito archeologico statale situato in località Capo Colonna, vicino Crotone. (LA STORIA)
La Hera di Kroton, prende qui l’epiteto di Lakinia, proprio dal promontorio che ospita il suo Santuario, derivato dal vecchio vocabolo pelasgico Lakis, che significa terra[42]. Proprio il legame con la terra sarà fondamentale per la dea del Lacinio, che sarà vista come la protettrice della pastorizia e della vegetazione, dei frutti da lei regalati e necessari alla sopravvivenza. Anche la tradizione, narrata da Livio, racconta come nelle immediate vicinanze del santuario di Capocolonna animali di ogni specie e sacri alla dea pascolassero in mezzo a una magnifica vegetazione che cresceva ricca e spontanea[43]. Tornano quindi i riferimenti al già citato “Bosco sacro”, fondamentale per il culto della dea, che come tipica sfera della sua influenza possiede soprattutto le vaste e fertili pianure. La protezione degli animali avveniva qui in un contesto che non è quello cittadino, ma quello extraurbano, selvaggio, un area cioè non abitata dai coloni ma dagli indigeni. Ancora una volta quindi viene sottolineato il rapporto tra il «prima» e il «dopo», tra lo stato selvaggio e quello civile, la coesistenza tra popoli diversi. Infatti sembra ormai comunemente accettato il fatto che ancora prima dell’arrivo dei coloni achei, il promontorio fosse in mano agli indigeni del posto, i Chones e i Iapigi e che almeno un temenos di origine pelasgica fosse stato consacrato ad una divinità femminile, una «Madre Terra» chiamata anche Vitulia o Vitelia protettrice della pastorizia e della natura di questi popoli e che trova il suo simbolo nella vacca. Gli achei permisero quindi ai barbari, (così chiamati i popoli che non appartenevano alla loro razza) di continuare a vivere nei luoghi da loro colonizzati, ricchi e indispensabili per la sopravvivenza della colonia. Qui si instaurarono rapporti economici, sociali e quindi religiosi. Si avviò una sorta di reciproco rispetto e di coesistenza vigilato dagli achei e proprio in nome della dea. Ciò implicava il fatto che gli indigeni sottostessero anche ad una sorta di accettazione religiosa della divinità. Prende inizio quindi il passaggio dal culto della «Madre Terra», indigeno, al culto della «grande Hera», regina degli dei e portatrice di civiltà. In molti sono propensi nel vedere in Hera Lacinia una strettissima parentela con la Hera Argiva, ma la dea si instaura qui con caratteristiche molto particolari[44] Innanzitutto questa sorta di inclinazione politica e militare si trova anche in uno degli epiteti riconosciuti qui alla dea, cioè quello di Hoplosmia, che significa probabilmente «signora delle armi». Inoltre la stessa tradizione mitologica ricorda come la dea concepisce da sola Ares, il dio delle guerre e per questo motivo le si attribuisce anche il nome di Areia o Marziale. È Licophrone (Alexandra V. 858) che vede in Hera Lacinia appunto la «signora delle armi». La dea è armata di scudo e dall’aspetto guerresco e tale caratteristica trova, sempre secondo i versi del poeta un legame proprio con l’Hera di Argo[45], dove questo aspetto si fa ancora più forte che in altri posti e dove si ritrova lo scudo nelle cerimonie di culto a lei dedicate[46]. Inoltre sono sempre le fonti antiche a sottolineare questo aspetto militare della dea a Crotone; per esempio Filostrato (Vita Ap. IV, 28 ) ricorda la statua del celebre atleta crotoniate Milone, sacerdote della dea, raffigurato incedente su uno scudo[47]. A Crotone la divinità giustifica molto spesso gli interventi degli stessi crotoniati in accesi scontri con colonie rivali; un esempio può essere la distruzione di Sibari, acerrima nemica dei lacini, giustificato dalla stessa divinità in seguito agli atti disdicevoli dei sibariti, macchiatisi di colpe nefande e sacrilegi che la dea non tollerò. Secondo un pretesto moralistico dei crotoniati, molto spesso la dea manifestò il suo dissenso e secondo la tradizione antica (Filarco, in Ateneo XII, 521)[48] apparve per la città di Sibari vomitando bile e lasciando fuoriuscire un rivolo di sangue dalla base del suo tempio, per esempio quando durante lo scontro tra Sibari e Crotone gli ambasciatori crotoniati furono uccisi dai sibariti. La dea predisse ai sibariti la fine della loro città, che effettivamente avvenne proprio ad opera dei crotoniati e proprio in nome della dea. Ma è anche un altro celebre epiteto presente nel santuario di Hera Lacinia, cioè quello di Eleutherìa, che lega la dea di Kroton a quella di Argo. I due santuari infatti, insieme a quello di Samo, vengono ricordati come celebri asili. Ad Argo in particolare la dea conferiva la libertà a chi per ragioni sociali non l’avesse mai avuta o per cause belliche l’avesse perduta.
Questa caratteristica faceva sì che in questi luoghi si potesse godere della protezione della divinità ed essere quindi inviolabili. Inoltre il carattere di inviolabilità si traduceva anche sulla tutela di tutti gli ambienti sacri del santuario, soprattutto lì dove venivano poste le offerte sacre, che costituivano un tesoro immenso, e sulla monumentalità degli edifici, nulla infatti poteva essere spostato o manomesso se non per volere della dea. Inoltre, come detto precedentemente Hera agisce in maniera fondamentale su tutti gli aspetti della vita della donna. Forse ciò potrebbe apparire in netto contrasto con le caratteristiche più violente precedentemente descritte, ma sono queste peculiarità che appartengono soprattutto all’ambito tradizionale della figura della dea, ritratta come sposa e protettrice delle nozze e dei ritmi femminili. Tutte queste caratteristiche vengono raccolte dalla dea del Lacinio. Qui la dea viene venerata con un’altra importante epiclesi, che è quella di Hera Kourotrophos. Le poche e preziose tracce archeologiche rinvenute fino ad oggi segnalano a conferma di ciò delle statuette votive provenienti dal Santuario e mostrano una figura femminile con le mani sui seni scoperti in espressione di allattamento. E d’altronde sono ancora una volta i versi della letteratura antica che ci danno questa visione «materna» di Hera. I già citati versi dell’Alexandra di Licophrone ricordano come fosse forte tra le donne di Crotone l’usanza di vestirsi di nero e piangere Achille, l’amato figlio di Thetis, che in cambio di questi perpetuati riti funebri in onore dell’eroe, sul promontorio del Lacinio regala alla dea un bellissimo orchatos, dove il culto protrae il suo carattere curotrofico anche sulla terra e la vegetazione che grazie al suo volere materno si dimostrano generosi e da lei amati e tutelati. Forte appare quindi il rapporto tra madre e figlio, e forte appare anche la connessione dei rituali del penthos di Achille al Lacinio con quelli di un altro Santuario di Hera, conosciuta come Akraia, a Corinto, dove si piangevano i figli di Medea; Una dimensione luttuosa contraddistingue questi santuari, dove è la maternità infelice ad essere riscattata, trasformando in positivo una situazione negativa comune a tante donne. Ricapitolando, Hera è a Crotone signora delle armi, della natura e degli animali, liberatrice dalla schiavitù, protettrice degli approdi e di tutti gli aspetti delle vita femminile. A Crotone la dea unifica nella sua figura aspetti che nella tradizione appartengono molto spesso ad altre dee femminili arcaiche e quello che emerge è quindi l’assoluta centralità che rappresenta per la vita del pantheon cotoniate. Caratteristico per esempio è il rapporto con il mondo animale e vegetale proprio di Artemide, le connotazioni guerresche appartenenti in genere ad Atena o ancora l’aspetto curotrofico legato anche in questo caso ad Artemide. Tutte queste caratteristiche vengono qui portati dai colonizzatori del Peloponneso in un periodo di consolidamento religioso, che veicola elementi che danno l’impressione di un ampio bacino geografico, che arriva anche all’Egeo meridionale e orientale, cretese in specie. Molti studiosi, vedono la dea di Crotone appartenente ad una fase di formazione non lontana dall’età minoico-micenea[49] e dalle caratteristiche di una delle dee del Palazzo, eredi a loro volta di una o più grandi dee minoiche, successivamente confluite e adattate dagli achei del Peloponneso. Non si parla di colonizzazione cretese ma di reminescenze appartenenti ad una frequentazione di Achei-micenei prima della fondazione della chora crotonese, in cui i Greci posteriori ravvisarono i seguaci di Minosse, i cosiddetti Coni, che per primi arrivarono sulle coste calabresi. Affinità si ritrovano quindi con i santuari di Samo e Argo, dove molti riti, epiteti e peculiarità appaiono molto simili a quelli di Hera Lacinia. L’idea che ci si può fare quindi, al di là di sicurezze che in questi casi sono molto labili, è quella di una grande influenza culturale e quindi cultuale che abbraccia ampie zone della Grecia e che dal VII secolo a.C. , epoca a cui risale la fondazione dell’Heraion di Capocolonna si incontra e confluisce con i culti dei popoli indigeni risalenti a un periodo precoloniale risalente al VIII-VII sec. Quello che emerge insomma, al di là delle incerte origini della dea e l’assoluta centralità da lei ricoperta nella pietas dei Crotoniati. Hera quindi è protettrice di Crotone, guardiana dei suoi confini, e «madre» per tutti i popoli vicini che, sotto la sua tutela e la sua forza a lei si affidano.
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