La Madonna di Capo Colonna è oggi sicuramente la più importante realtà cristiana per Crotone, addirittura più venerata e amata del Santo patrono della città, S. Dionigi. Ma una serie di analogie, di echi lontani affondano le radici in quell’epoca remota e antica di cui già abbiamo parlato, quella della colonizzazione achea appunto. Analogie tra il culto di Hera Lacinia e quello di Maria, nella storia, nel rito, nella fede, così radicata e carnale per i crotonesi tutti. Parallelismi che forse potrebbero lasciare perplessi ma che parlano in modo molto chiaro, rendendo anche più luminose alcune tradizioni che secondo me vale la pena di raccontare. La storia della Madonna di Crotone esprime prodigio, fascino e devozione da cui i crotonesi non si sono mai sottratti… Ma tanti sono gli interrogativi, le incognite, forse necessarie, quando ci si addentra in un mondo così complesso come quello della religione, che catalizza l’attenzione dei fedeli, bisognosi di certezze ma anche di mistero. Interrogativi che tornano forti ogni volta che si fa visita al santuario di Capocolonna dedicato alla S.S. Maria Vergine. Chi ha dipinto quella sacra immagine?, da dove, e grazie a chi l’azzurro Jonio l’ha condotta a noi?, quando la madre di Gesù è arrivata qui? Domande che non hanno trovato e mai troveranno risposte certe. La storia della sacra effige è misteriosa e intrisa di Miracolo. Alcune tradizioni antiche, prive però di riscontri storici certi, attribuiscono per Crotone la predicazione del Vangelo cristiano a quel Dionigi membro dell’Areopago di Atene convertito da S. Paolo e diventato poi il primo vescovo di Atene[8]. Un greco dunque avrebbe portato qui il Vangelo e conseguentemente la devozione verso la Madonna. Un greco, che dalla terra di Hera porta qui l’immagine di una nuova donna; la donna Santa, vergine e madre, protettrice verso cui accorrere. Quasi un «nuovo ecista», un nuovo colonizzatore, ora portatore dei valori e dei bisogni dei primi cristiani che non distrussero questa religiosità già manifesta con sontuose processioni e offerte votive, ma che la canalizzarono verso la figura simbolo dell’Amore cristiano, Maria appunto. Non più la dea irascibile, gelosa e vendicativa ma la donna umile che accetta di ubbidire a Dio e dà alla luce suo figlio senza l’intervento di un uomo. Un passaggio di trono, metaforico naturalmente, dalla regina alla serva, un passaggio di potere, vero nel suo senso più tangibile e manifesto nell’aspetto miracoloso, qui così vivo da sempre. Non esiste dunque un periodo o una precisa zona da cui la sacra effige proviene; alcuni la inseriscono in una corrente bizantina, altri spostano ancora una volta l’attenzione verso la vicina Grecia e ipotizzano che l’immagine sia stata dipinta e portata qui da S. Luca e regalata a S. Dionigi l’Areopagita. Altri la attribuiscono a qualche anonimo pittore e monaco basiliano intorno al 1100. Ipotesi appunto. Di sicuro è dal 1519, epoca in cui la zona si chiamava già “Capo delle colonne”, che la presenza della Madonna diventa più documentata e radicata per i crotoniati. E’ soprattutto in questo periodo che gli eventi prodigiosi si legano alla sua immagine, evidentemente già presente. La tradizione ricorda come in una notte del 1519 la zona del crotonese fosse afflitta da una violenta tempesta che sembrava volesse spazzar via ogni cosa. Ad un certo punto, in uno squarcio improvviso tra le nuvole apparve imponente la figura di una donna con in braccio un bambino, proprio sulla chiesetta a lei dedicata. Dopo di lei la quiete, la pace. Il giorno dopo tutti i testimoni del miracoloso evento si recarono alla chiesetta per deporre offerte davanti alla Sacra immagine. Ed è ancora la tradizione che racconta come nel 1519 la Madonna compì il prodigio più grande, quello che la rese in assoluto la “Madonna di Crotone”. In una notte di Giugno di quell’anno, dal mare arrivarono i turchi, con l’intenzione di saccheggiare tutto il possibile e portare via uomini e donne da destinare alla schiavitù. Alcuni di loro si trovarono davanti alla sacra immagine e non capirono chi fosse quella donna così bella e venerata. Pieni di rabbia, strapparono l’immagine dal suo supporto e la portarono sulla spiaggia dove, buttata tra legna secca, le diedero fuoco. Per più di tre ore si accanirono nel loro intento distruttivo, ma nulla sembrava potesse intaccare l’effige, che anzi emanò un’accecante luce. Convinti del prodigio i turchi decisero di portare con loro l’immagine. Ma un altro evento prodigioso sconvolse i pirati. Infatti mentre una delle imbarcazioni procedeva spedita sulla rotta di ritorno, la galea dove era stata caricata l’immagine non riusciva a muoversi né con le vele ne con la forza dei remi. Intimoriti da tale prodigio i Turchi buttarono allora il quadro in mare che arrivò sulla spiaggia e venne trovato da un pastore, Agatio Lo Morello, che per molto tempo lo custodì gelosamente in un cassettone accanto al suo letto. Il contadino divenne sordo e cieco in poco tempo. Nessuna cura aveva rimedio sulla sua condizione. Compresa la grave colpa confessò. L’immagine della Madonna era vicino al suo letto, ma non era quello il suo posto. Appena l’effige fu spostata dall’umile casa, il contadino tornò in salute, sano come prima e da quel giorno grandissimo devoto di Maria. E proprio su questo aspetto miracoloso attribuito alla Mado Capocolonna va posta l’attenzione. Come già affermato, molti sono gli interrogativi circa la diffusione del culto mariano nel crotonese, e molto spesso elementi pagani e cristiani si fondono fascinosamente. E ancora una volta forte appare il rapporto religioso tra la Madonna ed Hera Lacinia. Una serie di comunanze cultuali appaiono all’attenzione di chi osserva attentamente le usanze radicate nella terra del crotonese. Una su tutte secondo me merita di essere messa in evidenza. Una tradizione, narrata da Menodoto e riportata da Ateneo[9], restituita inoltre recentemente da Walter Burkert[10] racconta di una usanza attestata a Samo, sede di uno dei principali Heraîa, considerato tra i più belli del mondo greco dedicati alla dea. La leggenda racconta come nottetempo alcuni pirati etruschi tentarono di rapire l’immagine sacra della dea. Ma l’impresa non riuscì in quanto pur remando di gran voga le navi non si mossero minimamente dal porto di Era. Stupiti dal prodigio e pieni di paura i pirati scaricarono allora il simulacro sulla spiaggia e prima di partire le resero importanti offerte di cibo. Admeta, sacerdotessa della dea denunciò la scomparsa del simulacro che venne poi rinvenuto sulla spiaggia. Alcuni uomini, credendo che il simulacro avesse tentato di andarsene di sua spontanea volontà lo legarono ad una armatura di salice. Ma la sacerdotessa lo liberò, lo purificò nelle acque del mare e lo ripose sulla sua base, dove stava prima. Da quel giorno, ogni anno i Sami usarono portare il simulacro sulla spiaggia per purificarlo e offrire alla dea cibo e altri tipi di doni. Inoltre per espiare il sacrilego tentativo di legare la dea, da quel giorno i Sami si coronarono con rami di salice, mentre la sacerdotessa usava portava la corona d’alloro. Il banchetto festivo di purificazione si teneva nel Santuario, sopra uno stramo di salice, con corone di salice, al cospetto del simulacro della dea. Tale festa, di tipo purificatoria appunto, veniva chiamata Tònaia.
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